Prosegui verso via Rattazzi e, al termine della breve strada, gira a destra in via Macrino. Una zona residenziale, pochi negozi, traffico scarso, silenzio. Una via silenziosa, austera, senza fronzoli. Ma, fino a pochi decenni fa, non era così. Periferia della periferia, via Macrino e il vicolo omonimo che vedremo dopo, erano considerate dagli stessi albesi zone malfamate, abbandonate, senza speranza. Luogo di rifugio per gli immigrati dai paesi delle Langhe e, poi, dal Veneto e dal Meridione. Luogo di traffici loschi, di commerci nascosti, di vite più o meno perdute. Ecco come descrivono via Macrino tra il 1940 e il 1970 gli abitanti del posto:
“il punto di transito per una miriade di vite precarie, difficili, fatte di stenti e di interrogativi per il domani. Via Macrino era questo. La periferia di Alba, ossia là dove, nelle vite, era possibile leggere i cambiamenti della società. Famiglie numerosissime senza più pane per tutti. Tentativi di arrivare a fine giornata, andando anche oltre la legge. E poi, soprattutto, fatiche, freddo e tanta povertà. Ma anche solidarietà, perché era come una grande famiglia unita; perché là, “in basso”, si era tutti uguali, perché non potevi cadere più giù, quello era il fondo. Nonostante tutto, ci si aiutava. Sì, ci si aiutava per volere di Dio, di un altro che non si conosceva, o perché poteva capitare di ritrovarsi, l’indomani mattina, nella posizione del più povero, ossia senza nulla. La trinità dell’essere gli ultimi era così: un mondo che proteggeva sé pensando ad aiutare il prossimo, il vicino, l’amico.”
“Marco: Cosa cambia nel dopoguerra in Via Macrino? Adele: Eh, cambia che non avevi proprio niente, e ti sei messo a lavorare. C’erano quelli della frutta, gli Scarsella, che ci avevano preso a lavorare, a fare la frutta, e cominciavi a guadagnare qualcosetta. E anche i poveracci, come noi di Via Macrino, uno faceva il muratore, l’altro si è trovato un altro posto… e cominciavi a tirarti un po’ su. I bambini, nel frattempo, diventavano anche un po’ più grandi. Io, noi, siamo andati lì alla frutta, e lavoravo, stavo bene, mi pagavano bene”
“Come è cambiata via Macrino nel dopoguerra? Hanno iniziato a lavorare. Si passa da vivere tutti in una stanza agli appartamenti. Si cercano degli alloggi più ampi. Vanno via in tanti. Lì rimangono i Roggeri, che erano una famiglia grossa, anche loro stavano nel vicolo. Un po’ per volta si sono messi tutti apposto. Poi hanno dato le case, visto che avevano fatto degli espropri. A mia sorella hanno dato il lavoro e mia mamma è andata ad abitare con lei. Io nel frattempo mi ero sposata, e mi sono aggiustata così”
E poi? Negli anni Settanta del Novecento grandi opere edilizie interessarono il quartiere, e la via venne completamente sventrata e distrutta. Le antiche abitazioni a ringhiera, quasi cascine in città, lasciarono il posto a moderni e salubri condomini, con giardinetti, e a piccole attività commerciali di quartiere. La vecchia via Macrino non esisteva più. Con essa spariva un pezzo di città, e, forse, anche l’antica solidarietà tra i suoi abitanti, poveri ma dignitosi.